Peccei -Ikeda
In due parole, il primo rapporto del club di Roma affermava che il tasso di espansione economica prevalente nel mondo alla fine degli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta non avrebbe potuto continuare per una ragione semplicissima: la crescita avanzava in termini esponenziali mentre il pianeta sul quale viviamo è caratterizzato da limiti precisi. E ammoniva che, se il genere umano, incurante di questa verità, avesse tentato a viva forza di aumentare senza ritegno la produzione e i consumi, prima o poi altri poteri estranei al suo controllo sarebbero intervenuti a bloccarlo, rischiando di portare al collasso il suo sistema,creato ed elaborato con tanto capziosa diligenza.
Come lei osserva molto giustamente, gli economisti e gli uomini politici, non altrimenti che un buon numero di industriali e sindacalisti, i quali contestano simili riflessioni e affermano che l'economia può essere ricondotta e mantenuta ai livelli dell'èra del suo boom, sono in realtà stimolati da miopi interessi personali.
Questi fautori dello sviluppo ad ogni costo si sbarazzano d'un sol colpo degli interessi a lungo termine dell'umanità e del dovere che compete a quest'ultima di trasmettere ai suoi figli un pianeta in condizioni uguali, o non troppo deteriorate, rispetto a quelle in cui versava quando lo ha ereditato dalle generazioni precedenti.
Parimenti si rifiutano di ammettere che alla metà degli anni settanta si è concluso un periodo di eccezionale espansione economica e che le condizioni che lo avevano reso possibile non si possono ripresentare.
Da allora, e a dispetto degli sforzi messi in atto, si può dire dappertutto, nessun sintomo lascia presagire che l'economia mondiale possa ripetere quella sua eccezionale impresa. Pertanto il desiderio di assistere a un drastico rialzo della produzione e dei consumi mondiali, tale da poter rivaleggiare con i tassi di crescita dei decenni che abbiamo alle spalle, è destinato a rimanere una futile utopia.
La nostra politica e il nostro pensiero devono essere guidati da considerazioni ben altrimenti ligie alla realtà.
Occorre convincerci, coma a lungo termine, diventi imprescindibile un equilibrio accettabile tra le dimensioni demografico-economiche globali e la concreta possibilità che la terra riesca a reggerle. E non è tutto: spetta a noi trovare i mezzi e le idee per tradurlo in atto.
Ma per tornare al primo rapporto del Club di Roma, elementi sufficientemente validi ci permettono di concludere che il suo messaggio centrale è senza dubbio valido per l'immediato futuro. La disamina in esso contenuta dei limiti posti alla crescita è valsa ad affinare la nostra comprensione del fenomeno.
Il mito in base al quale la crescita - e per essere esatti, la crescita di qualsivoglia specie - sarebbe di per se stessa un fatto positivo ha lungamente sedotto e inquinato il nostro pensiero, né questa concezione erronea manca di esercitare ancora oggi una sua forza tentatrice. Respingendo il concetto secondo il quale la crescita egoistica e fine a stessa sia una meta meritevole di essere perseguita, il Club di Roma ha aperto una nuova strada, favorendo l'emergere di concezioni del tutto nuove quali la crescita organica e lo sviluppo sostenibile, che hanno contribuito a guidare il nostro pensiero in direzioni più sane e costruttive.