mercoledì 25 febbraio 2009

a spasso per la Croisette

mentre appoggiavo la borsa sullo scalino, Emanuele chiudeva il portabagagli. Lo aveva fatto con gesto molto secco.
Il sole abbagliante, anche se lo rifuggivo con lo sguardo, si rifletteva sulla bianca via del silenzioso quartiere e raggiungeva i miei occhi feriti dalla mancanza di sonno e da un pianto breve.
- adesso ci mettiamo comodi, una bella doccia e poi usciamo, va bene? -
il portone si era chiuso alle spalle di emanuele e finalmente potevo vedere la famosa casa, quella di cui solo io ero a conoscenza.
- ma dopo andiamo a mangiare, ho già fame e tu? -
Lo avevo detto pur sapendo di irritarlo e lui, prendendomi in contropiede, mi aveva proposto di andare al Casino.
Ora, lui ben sapeva che Claudio (quello che non si sapeva se mi avesse lasciato
o meno) era un giocatore incallito ma per rompere gli schemi mi stava propnendo di andare esattamente nel luogo simbolo della nostra separatezza di fondo.
Rideva il criminale, si beffava del mio mal d'amore.
Lo guardavo di sottecchi e lo vedevo ridere di soppiatto.
- sei proprio stronzo però! -
- dai, così ripassi la lezione e quando tornerete insieme lo batterai a black jack -
sapevo che era uno dei suoi modi di distrarmi, un'apparente crudeltà che in realtà era prendersi cura della squinternata Camilla.
In effetti raramente ero stata in un posto così elegante e mai come ospite.
FAcemmo il giro del giardino che risentiva di almeno sei mesi di mancata manutenzione, erbacce un po' dappertutto anche ai piedi del putto di pietra che sotto la palma stava in posa plastica a reggere qualcosa che non c'era più..
- qui bisogna bagnare per ore - disse lui controllando attentamente
Alzò lo sguardo al piano di sopra e apparve madame Germain che gli gridò che c'er siccità.
- me ne sono accorto - mormorò fra sè e sè Emanuele che tanto amava il verde da essere il terrore di zia Maura alla quale aveva potato la siepe di rose selvatiche con grande zelo.


Mentre lui spiegava che fra me e Claudio c'era solo un rapporto (malato) di interdipendenza eravamo arrivati a piedi al Casino.
Protestai per l'eccessiva presenza di donne croupier, tutte, a mio parere, esageratamente carine.
A un certo punto però, dopo che lui ebbe puntato sul 13 mi diede una lieve gomitata.
- che c'è - avevo detto ad alta voce nel brusio delle voci numeriche e nel tintinnio delle fiches che tanto detestavo.
C'era Omar Sharif.
Stava là senza che nessuno lo indicasse col dito o richiamasse l'attenzione su di lui.
stava giocando da un pezzo, ormai me ne intendevo, e stava sicuramente perdendo, lo vedevo dal modo di staccare vere banconote da una specie di spillo e ad ogni strappo la banconote perdevano un frammento di carta. Questo ce lo rese un po' antipatico e facemmo considerazioni su quanto fosse lontano dal regale personaggio interpretato in Lawrence d'arabia.

domenica 22 febbraio 2009

il "Lido" di Palmaro, bozza

la piccola spiaggia del Lido di Palmaro non esiste da molti anni ma è rimasto nitido nella mente l'affresco di un luogo che ora non c'è più e che, nella memoria, luccica ancora di luce abbagliante.
Vedo la rotonda sul mare e sento in lontananza i suoni della spiaggia: grida di bambini e, quando il mare è appena mosso, il tonfo delle onde che si rincorrono rapide e poi schiantano a riva, raschiando la ghiaia nera con crepitio di risacca.
Non è un "brodino romantico" questo, ma la storia di una spiaggia inghiottita dal cemento, al punto di farti perdere ogni punto di riferimento.
Ciò che prima era in basso... ed era una baia, ora sporge, immenso piazzale oltre il quale non ci sono più nè bambini nè ombrelloni.
E' sparito un cammeo e al suo posto c'è l'enorme porto container all'uscita dell'autostrada, Voltri: A 26.

A suo tempo si era costituito un comitato dei pescatori che avevano là le loro barche, i gozzi.. avevano lottato strenuamente con ogni mezzo e dopo qualche anno, passando da quella parte della costiera avevo chiesto dei pescatori.

Uno di loro mi dice con un solo sguardo e due parole che sono stati sconfitti, la prolunga del porto si è mangiata tutte le spiagge del tratto: bagni Sole, bagni Italia.. il Lido. E i pescatori, nell'attesa di avere giustizia, sono morti. Sì, quasi tutti.
Quello che vedo ora è solo l'orrore del cemento, dei cassoni appoggiati uno sull'altro come pezzetti del Lego. Verdi, neri, rossi. Altissime gru sembrano marcare il territorio come mostruosi giganteschi ragni in lontananza.

tutto questo è una vera e propria rapina e non mi do pace all'idea che il sovrastimato traffico del porto container abbia fatto esplodere, così... un pezzo della mia vita.
In nome del profitto di pochi.. io e i pescatori guardiamo l'orizzonte con un buco nell'anima.

Voglio che si sappia del Lido di Palmaro, di quanto fosse bello, anche se tutto è impermanente... anche la spiaggia dove sono stata felice.

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Scendo all'ora di pranzo, la sabbia è rovente e mentre sprofondo in un inutile tentativo di corsa vedo gli amichetti, sono già in acqua e in aria il profumo della frittura di pesce e la sensuale fragranza del pesto mi fanno dubitare: ho davvero voglia di fare il bagno? ma il dubbio si scioglie non appena vedo il bagnino Sereno, di nome e di fatto.
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a spasso per la Croisette

Emanuele aveva tirato il freno a mano, eccoci a Cànnes.
Da avenue dès Esperides avevamo girato l'angolo e voilà.. in fondo a Rue Jean Cresp c'era un campo di petanque e infiniti alberi di eucaliptus, dalla parte opposta si andava verso l'interno prima del sottopasso de la Californie.
Faceva caldo ma la brezza portava non so quanti profumi. Avevo visto la spiaggia sotto la Croisette e ora ci trovavamo con poco bagaglio davanti a casa.
Eravamo in un posto che mi sembrava strategico, a due passi il vecchio casino, Port Cànto con la sua bettola con le tovaglie di carta, più avanti il nuovo Casìno e ad est la Baia del Moure Rouge.

(Alla Baia del Moure Rouge, non lo sapevo ancora, ci sarei tornata tante volte, ogni volta con uno stato d'animo diverso).

"Fratello" Emanuele mi aveva portato là per distrarmi.
Secondo lui ci voleva un posto come quello per estirparmi la perniciosa ossessione. Non faceva che ripetere che C. non faceva per me. Ci eravamo persi e non si capiva neppure chi avesse lasciato chi, oggetto questo di lunghissime diatribe alla fine delle quali Emanuele, sfinito, diceva che non aveva nessuna importanza scoprire chi di noi due avesse lasciato l'altro, ciò che non andava era proprio la spaventosa ambiguità di quella storia.
Poi si sperticava con l'incoraggiamento...

"A parte quell'orrendo trucco che metti negli occhi sei una bella ragazza" diceva.
" sono brutta" dicevo io, tanto per dire.
" non mi far incazzare.. intelligente, spiritosa e hai un corpo da statua...Cosa vuoi di più?"
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mercoledì 18 febbraio 2009

il giradischi ( bozza )

il giradischi di Piero era un dettaglio trascurabile per i vari cugini, amici dei cugini... al punto di essere appoggiato a terra, quasi dimenticato.
Avevano deciso di ballare sotto il portico, avevano sbaraccato in fretta, la fretta che i vecchi del parentame erano accorsi a contenere con discutibile saggezza, la loro vecchia saggezza che mi appariva assai molesta.

Tutta la preoccupazione per i vicini anziani che forse erano andati a dormire mi infastidiva, mentre loro, quelli più grandi, ribadivano che avrebbero fatto attenzione... non avrebbero rotto le vecchie sedie impagliate e nessuno avrebbe toccato i pomidoro, coricati per benino nelle cassette di legno grezzo.
Io quei pomidoro li vedevo in pericolo, rossi e appena colti, in mezzo a tutti i piedi danzanti. ma per fortuna qualcuno salì la scala a pioli e li fece rapidamente espatriare lassù, nel fienile, dove sembravano piccoli esuli rossi, prigionieri politici in mano alla gioventù cui mi stavo ispirando per il mio personale debutto.

Ero dunque molto attenta a ciò che accadeva, notavo ogni cosa che erano certi di nascondere, anche i loro sorrisi complici.
Ci guardavamo, Alessio ed io, i piccini della compagnia, e ci facevamo spazio a fatica, tra involontari spintoni, bisognava stare attenti perchè ci avrebbero cacciati da un momento all'altro e non vedevano l'ora.
Alessio aveva accennato un goffo tentativo di danza subito interrotto dalla vergogna, in effetti era negato, io al contrario sentivo un furore
di taranta che non potevo esprimere (solo anni dopo mi sarei iscritta a danza) e provavo una specie d'invidia mista allo strano, piccolo dolore di essere incatenata all'infanzia, costretta a una "immobilità di rango".
Così mi sembra opportuno chiamare la condizione di aspirante ragazzina.

Dopo il twist e alcuni passi di latino americana qualcuno spense la luce e puntò diritto verso il giradischi creando una bolla di silenzio molto simile a quelle delle prove degli orchestrali (subitaneo tonfo di grancassa, stecca di tromba, poche sparpagliate note di piano e gemito di violino).
Ciò che accadde dopo mi segnò per la vita.
Ad uno ad uno, ragazzi e ragazze, per un misterioso criterio oppure per magia, si cercavano, apparentemente a caso, col semplice gesto di allungare la mano, porgendola all'altro come per dire io ho scelto te.
si vedeva che quasi tutti avevano fatto la scelta giusta.. senza alcuna consultazione.. ed ero emozionata mentre le note calde del primo lento mi attraversavano la pelle fino alla carne che quasi tremavo, per la frescura e la percezione di Eros, insolita presenza, una sorta di affanno collettivo, quasi palpabile che mi turbava senza volto e senza nome.
Il disco in vinile era "Hey Paula".

Una voce acerba ma calda mi aveva fatto trasalire, ero in preda a un sentimento di cui non sapevo nulla. Dopo quello struggente "..hey Paul" aveva risposto la voce pastosa e calda di lui. Intanto tutti si erano abbracciati, ciondolavano chi con lo sguardo perso e chi con la faccia nascosta sulla spalla del partner e io lì, di fianco ad Alessio. Lui, a testa bassa a raschiare col coltello un bastone di legno (ci sarebbe stato utile il giorno dopo per attraversare i campi da casa sua a casa mia) e io che non sapevo nè potevo ballare, ero la più piccola


Ero esattamente nello stato d'animo di chi si trova affamato ad un sontuoso banchetto dove ci sono tempi e modi da rispettare.
Mi capitò così, nell'attesa, di allontanarmi un po', verso la vigna, per dare uno sguardo al cielo senza luna, nero.
Se solo mi allontanavo oltre il cortile i grilli erano a loro volta in grado di stordirmi e di erotizzarmi esattamente nella direzione opposta, verso un imprecisato senso d'infinito che forse solo il cantico di cento grilli ti può regalare.
Non sapevo gestire e nemmeno ci provavo a cucire stati d'animo tanto diversi, opposti.

Ancora una volta non sapevo dare un nome alle piacevoli procelle emotive ma ora so che il portico era il luogo della possibilità d' Amore.

Là nella vigna, invece, dietro il tremolio facondo delle betulle e nel fresco pungente della notte, il cielo si prendeva i miei occhi, li rapiva... spegneva la musica e mi scaraventava in alto come a volermi risucchiare nell'universo nero e quella sera abbandonato dalla luna.
Percepivo neri sipari come se un sipario preparasse a quello successivo, in un'ansia di contare tutti i cieli. L'impossibilità del calcolo mi dava un brivido ben più potente di quello delle coppie intrecciate nella magia dei lenti.

martedì 17 febbraio 2009

ancora Gaminella

La Gaminella , me ne rendo conto, è tuttora un mistero da svelare.
Non so se la Gaminella, per la quale ho fatto alcune timide ricerche, sia la stesso rivo interrato, soffocato che intravedo sulla via della stazione (sempre quella di Pasquale e delle more) o una specie di ruscello omonimo molto più piccolo e "banale", certo non per me.

Pare che ai tempi dei Longobardi, intorno al 600 una Gaminella fosse stata lo scenario di tale carneficina di soldati ( ubriachi nella notte) da essersi tinta letteralmente di sangue. Come il famoso tragico teatro del Sand Creek ? al Sand Creek era stata strage, ricordo conati di vomito all'uscita dal cinema dopo Soldato blù

Anche Pavese aveva citato una Gaminella ( ne La luna e i falò?) ma pare si trattasse di collina.

La mia Gaminella, il luogo del mito che ho amato in passato è troppo sottile.. sembra svanire nel nulla, senza trionfali sbocchi al mare, interrata, maleodorante non si riesce a rintracciarla.

Gaminella è nome bello davvero, letterario e suggestivo.
Ci arrivai in due occasioni, la prima con papà che, da uomo di mare, era estasiato, più eccitato di me nel mostrarmi il ruscello.
Il primo ruscello della mia vita.

- Pavese, in Feria d'Agosto aveva rivelato il simbolo, il mito...e altro -

mio padre aveva detto a voce bassa: " puoi berla, viene da monti lontani"
e io ci avevo creduto. L'acqua era molto bassa ma indicibilmente limpida. Arrivava poco sopra la caviglia. C'erano microscopiche libellule, insettini talmente delicati e leggeri che m'incantavo a guardare, essi, incredibilmente, stavano in piedi sull'acqua.
Mai visto insetti così piccoli in grado di camminare sulle acque e mi domandavo se vi fosse un'impercettibile velo sull'acqua, un invisibile tappeto. Ignoravo allora la capacità di taluni insetti che appoggiano le zampe sul pelo dell'acqua.
Il fondo era sabbioso, qualche sassolino... neppure parente delle pietruzze colorate di Pria Ruggia o.. San Giuliano, a Genova, nello squassar di onde argentate, quasi rabbiose.
l'acqua era talmente trasparente e immobile da apparire nulla, liquido vetro attraverso il quale, muovendo un piede, potevo vedere quel turbamento giallino depositarsi subito a fondo.

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(il segreto della zia cinese)

domenica 15 febbraio 2009

il segreto della zia cinese

La gonna plissettata della cugina Pinella

Non esiste un ordine preciso ed efficace nella memoria; se provo a darle una scansione, perdo il filo leggero che mi guida, ed evapora il pathos.
Vedo Pinella emozionata, le stanno intorno le donne di famiglia, il gineceo, siamo noi il gineceo, sento di farne parte anche io, purché stia zitta, basta che la smetta di fare domande.
Gli uomini, intendo zii, papà (chissà se c'era ) e i giovani cugini, sicuramente erano là, come sfondo rumoroso ed estraneo alle sapienti manovre delle donne.
Si dava l'ultimo tocco alla "misè" (oggi si direbbe look) della cugina che sarebbe andata al ballo.
Era il suo primo Ballo, quello della festa del paese e più tardi
- non troppo, meglio non perder tempo - sarebbe stata accompagnata alla festa, fragorosa ed eccitante occasione mondana che riusciva a eccitare anche me, bambina coi codini e sandali coi buchi.


Intanto Eros è quasi palpabile nell'aria, è forse la prima volta che ne avverto la presenza.
Non ho parole per vestire quei pensieri, le dovrei inventare.
I miei pensieri scaraventati in quel mondo nuovo, non hanno le parole adatte.
Strane eccitanti sensazioni sospettano l'amore. Sento che sto voltando pagina e mi accorgo di essere una spia nel mondo delle donne.

Loro non sanno che io comprendo più di quanto possano immaginare, mi sottovalutano, mi porgono il punta spilli mentre, improvvisamente la gonna di Luisella, allo scatto del bacino, fa una grande ruota, ellissi gialla di mille pieghe tutte uguali.
L'eccitazione contagiosa è per me insostenibile e chiedo di andare al ballo.
Per un attimo mi vedono, sono piccola, eppure sento di essere loro pari.
Mi alzo sulle punte per sembrar più alta e chiedo ancora.
Toni, la più caritatevole, suggerisce: "perchè no, si divertirebbe
anche la mata".
Dopo un breve momento di silenzio riprende il frenetico lavoro... bisogna ancora applicare la rosa gialla sulla pancia di Pinella. Lei è così magra, come Audrey Hepburn, io la trovo bella anche se bella non è come le nostre mamme (bombe di curve castigate in abiti austeri). Non siamo belle come loro, le sorelle dai piccoli nasini e dagli zigomi alti.
Pinella ha enormi occhi da cerbiatta e il suo sguardo è così erotizzante.. mi ricorda il velluto.
Presto, presto... si fa tardi e non riescono ad applicare la rosa di voile sulla pancia magrolina di Pinella. Noi siamo magre.
Lei è all'apice della contentezza e chiede quando arrivano gli altri...
Nessuno mi guarda e tutto il mio essereè attratto dalla musica in lontananza, si alternano rock and roll, cha cha e lenti galeotti .
Al suono delle note lontane ho il presentimento che non ce la farò a seguire Pinella che pure mi porterebbe con sè... ma il gineceo, a parte me, decide che no, non è il caso, sarei una specie di palla al piede.
Il rumore di un'auto in cortile e delle voci chiassose di tutti i cugini e degli amici dei cugini, l'immensa tribu di Montauslìn balza giù dalle auto e irrompe in casa.
Le ragazze sono bellissime, ce n'è poi una che è esattamente colei che vorrei essere io. E' una lontana cugina di Roma dal caschetto nero, quello di Valentina, la ninfa di Crepax?
Mi salutano affettuosamente ma in modo fugace, a nessuno viene in mente di portarmi con loro.
A quel punto persino Pinella, che è in ritardo con la rosa posticcia sulla pancia, corre via e salta sull'auto con un balzo delle sue ballerine

Io rimango dietro la finestra, afferro l'inferriata.. e provo il dolodre dell'abbandono, dell'esclusione.. la malinconia profonda di restare qua. D'improvviso , cala il silenzio di sempre, carico di una tristezza infinita.
Il fruscio dell stoffe, i commenti soddisfatti delle zie e nessuno si accorge che piango attaccata all'inferriata sognando un rock and roll.

(Solo molto più in là nel tempo avrei provato qualcosa del genere, una sera di Capodanno, quella sera in cui io, finalmente piacente ed esuberante, ero pronta per uscire ma il mio giovane marito si era addormentato sul divano. Fu inutile chiamarlo, protestare mi abbracciò perchè dormissi insieme a lui... ancora una volta raggiunsi la finestra e sedetti sul davanzale, i fuochi esplodevano di colori, scalpiccio di passi nella via e io lì, a piangere swduta sul davanzale).

mercoledì 11 febbraio 2009

il segreto della zia cinese

Paolo assecondava appena il volante, con gesti leggeri, lungo la strada sinuosa, tutta curve, della "nostra" Cote D'Azur.
Era piuttosto divertito mentre si apprestava a spiegare il mistero di sua madre, la piccola "cinese".
Con lui avevo un rapporto privilegiato, si era proposto a me nella veste di fratello maggiore e la complicità sul "suo" segreto ci aveva uniti a filo doppio.
Tonia aveva davvero tratti orientali, finalmente lo stava ammettendo.
Lui stesso aveva bellissimi occhi neri dal taglio medio orientale, ancora diversi da quelli della madre.
- ricordi la battaglia di Marengo?... Napoleone? -
- boh, sì... -
lui aveva riso ancora chiudendo una curva, forse dalle parti di Cassis.
Ne aveva parlato con Roberto e con Eugenio entrambi molto colti.
(Roberto poi mi aveva sempre messo soggezione, quest'omone uno e novanta dalla profonda voce da basso era stato presidente del Centro Alfieriano ed era l'unico in grado di autenticare gli scritti dell'Alfieri del quale io avevo avuto appena un'infarinatura scolastica).
Beh, non vi erano certezze ma una vaga ipotesi che Napoleone si fosse avvalso di truppe di mongoli e di tartari alla battaglia di Marengo era suggestiva.
Restai in silenzio.
Pensai che mi prendesse in giro perchè rideva, era dissacrante di professione.
Paolo disse che si trattava solo di un'ipotesi ma che... vista la somiglianza davvero impressionante di zia Tonia con la tipica donna orientale... era possibile che un'antenata delle parti di Pavone (un ramo della famiglia di Madre proveniva da lì) fosse stata presa su un prato come accadeva da sempre in guerra e che un piccolo gene della mongolia fosse arrivato fino a noi.
Rimasi incantata al punto che lui, già con la mente altrove, mi pregava di non annoiarlo con i miei improvvisi appetiti e di dirgli subito se avessi fame , almeno avrebbe evitato quelli che lui definiva "i tuoi capricci alimentari"

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domenica 8 febbraio 2009

altre licenze poetiche

Ed eccolo tornare..
quel fine settimana non lo aspettavamo.
Con una grossa borsa e l'immancabile quotidiano lo vedevo in fondo al viale, si avvicinava lentamente. Per il gioco prospettico pareva quasi fermo.
Faceva davvero molto caldo, Agosto in campagna era un'aria rovente tartassata dalle cicale.
- Ah! sei qui? - diceva zia Antonia.
- adesso ti racconto - aveva detto papà appoggiando la borsa sul divano
- eh, già, l'altra volta siamo stati in pensiero.. -
- ma no.. Tonia, sai com'è andata ? -

Intanto era arrivata Madre, scambio di impercettibili baci sulle guance e un rimprovero appena bisbigliato (quasi sempre lui se lo meritava) e gradualmente tutti si erano accorti che era tornato.
Così papà rivelò a tutti il segreto di quel ritorno a Genova.
Stava camminando molto veloce quando aveva visto il treno.. il treno era già là, fermo sui binari, in mezzo alla campagna come appoggiato sul muschio di un Presepe pagano.
Pensò che forse affrettando il passo, chissà.
Intanto Pasquale lo aveva notato, paletta in mano e fischietto in bocca.
Il treno rimaneva fermo - bene - forse il semaforo era rosso, così aveva pensato papà mentre raggiungeva di corsa il binario.

Veramente lo aveva fermato Pasquale.
lo aveva semplicemente aspettato, prima di dare l'occhei al macchinista. Chissà come e perchè io immaginavo molto bene la complicità tra i due uomini, riconosco facilmente lo sguardo complice dei maschi, da sempre.
Pasquale, in un certo senso, era riuscito a fermare il tempo.
Aveva deviato, anche se impercettibilmente, il corso degli eventi.
Qualcuno per il ritardo aveva perso il taxi a Torino... un altro aveva evitato di incontrare la persona sbagliata.
Cosa sia giusto e cosa sia sbagliato nella nostra vita noi non lo sappiamo subito, ci viene svelato solo dopo, magari anche dopo tanto tempo.
Così ho capito il perchè di certi amori, di alcuni viaggi e di tanti provvidenziali errori.
Non sempre ciò che ci sembra un errore lo è davvero.

A proposito di presunti errori, zia Antonia appariva incongrua , sembrava non aver nulla in comune con i fratelli e ancor più diversa appariva vicino alle sorelle.
Madre e zia Maria erano piuttosto formose, zigomi alti, pelle e capelli chiari.
Lei invece era più piccola di loro, minuta, e la forma del viso era esattamente quella di una donna cinese.
Aveva il volto un po' piatto, la bocca era delicata, la pelle pallida e un po' olivastra.
Il taglio degli occhi neri poi.. era decisamente orientale.
Ad un altra età avrei chiesto con poco tatto perchè la zia sembrasse cinese ma non avrei avuto risposta perchè nessuno si poneva quella domanda o forse perchè era un tabu.
Era davvero impressionante quel contrasto.
Madre e gli altri zii erano simili fra loro mentre lei era completamente diversa ..pareva una donnageneticamente intrusa , almeno secondo le mie considerazioni.

In futuro, negli anni del liceo o forse ancora dopo, mi chiedevo per quale bizzarria genetica quattro fratelli avessero un aspetto fisico tipico dell'Italia del nord mentre una di loro aveva il tipo fisico tipicamente orientale.
Zia Antonia, la piccola cinese, era glabra, naso un po' schiacciato, seni piccoli e due leggeri solchi sotto gli occhi, al posto delle occhiaie.
Più osservavo zia Tonia più facevo la stessa domanda "come mai la zia ha tratti orientali?"
Le risposte erano vaghe, dicevano che somigliasse al nonno ma, viste alcune foto sbiadite, il nonno non sembrava affatto orientale.

In un futuro anteriore, in viaggio verso Antibes col cugino Paolo, ecco tornare il discorso sul tipo fisico orientale di sua madre.

All'improvviso Paolo mi stava dicendo che forse c'era un motivo di tipo storico, che purtroppo non aveva il tempo di indagare ma un'ipotesi molto affascinante esisteva.

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sabato 7 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

licenze poetiche

certe domeniche partiva al tramonto, almeno così mi suggerisce la memoria che però tante cose mescola e confonde.
Quella volta mio padre era in ritardo, si scommetteva tutti che non ce l'avrebbe fatta, il treno l'avrebbe perso, ma lui
( come chi le sfide se le va a cercare) sorrideva.
Sospettavo che si sforzasse di sorridere..per apparir sereno agli occhi miei.
Quello che vedevo io però era un sorriso volitivo, e avevo l'impressione che quel suo vivere in bilico in realtà gli piacesse molto, come il sale in una pietanza insipida.
Il treno lo avrebbe sicuramente perso, era già successo.
Quella volta era tornato accaldato con un'aria a dire il vero indisponente, l'aria di chi è indifferente, di chi viene ma poi parte, come se avesse tanta voglia di scherzare.
Dopo averlo visto sparire in fondo al viale, come se all'improvviso fosse caduto dentro a un buco voltammo le spalle al cancello e tornammo in cortile.
Mentre me ne stavo sullo sgabello intarsiato da zio Pino, tutti dicevano peccato, perderà il treno... se solo fosse partito un po' prima... io invece incominciavo a riflettere. Papà era uno che non poteva resistere più di tanto nello stesso luogo, come una specie di nomade moderato.
Poi entrammo in casa per preparar la cena e passò il tempo e venne buio... e allora dov'era quell'uomo? cosa aveva combinato?
Ero in ansia, il tempo passava e lui neppure tornava.
- A quest'ora però dovrebbe essere già tornato - dicevano.
- Già... ci fa stare in pensiero ! -
Ero immersa in una specie di bolla silenziosa in mezzo ai rumori di casa, del cortile... del viale.
Poi, finalmente, arrivò una telefonata: papà era riuscito a prendere il treno.
Era già arrivato a Genova.

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martedì 3 febbraio 2009

la moglie di Pasquale.

nei campi attorno a San Sebastiano, così si chiamava la proprietà dei nonni
( ora non più, il nome indica il villaggio che l'ha circondata) c'erano l'erba medica, la meliga e il grano. All'arrivo di Pasquale c'erano già le case di ex contadini quasi tutti occupati in fabbrica.
All'ora di pranzo, fino alla fine di luglio, suonava la sirena e in cortile io facevo correre le galline pestando i piedi. Indossavo i sandali bianchi quelli "coi buchi" che a me sembravano occhi obliqui sicuramente orbi.
La Pippi mi osservava mentre stendeva infiniti bucati.

La moglie di Pasquale, una donna alta che ricordava certe donne africane dalle lunghe gambe abbronzate, faceva la pizza più buona che avessimo mai assaggiato.
Così, ogni tanto le tre galline, noi bimbe al borotalco, ci mettevamo a guardarla mentre preparava la pizza. A forza di star lì la Pippi capiva e ci invitava.

Ricordo che C. era molto attenta alle unghie della Pippi, controllava che fossero pulite al momento in cui graffiavano con forza l'impasto...
Appena sfornata la pizza c'era un gran vociare per avere porzioni eque.. avevamo anche notato che nella pommarola lei lasciava la pelle che formava riccioli amaranto.
Un gran silenzio rituale, quasi dionisiaco.
Poi era l'ora di scappare e in modo liberatorio gridavamo tanti grazie.. GRAZIE !grazie!... e sparivamo a giocare.
A casa mia ci eravamo abituati ad inquilini tanto diversi, soprattutto nel modo di parlare.
Ora direi che i due bambini sembravano usciti da un film di De Sica o Pasolini.
Grandi occhi bruni dilatatai, giocavano in disparte con carriole e macchinine , noi con le bermuda a righe, azzurre li scrutavamo dietro un vetro invisibile.
segue...

indagare sulla sparizione della Gaminella

questa è una lettura in cui spazio e tempo se ne vanno avanti e indietro come gli pare e le libere associazioni si inseguono più che susseguirsi.
Perchè interrompere i nostri momenti con Pasquale per parlare della Gaminella?
perchè la Gaminella è un idolo precedente all'avvento di Pasquale, è ancora una contemplazione di tipo pagano perché ero piccola e non avevo ancora fatto la Comunione.
Prima della Comunione aspiravo ad essere rabdomante, osservavo le acque e le confrontavo, acque di terra e acque di mare.
Il mare era un dio pagano e non lo sapevo.
Una inconsapevole propensione all'animismo faceva sì che immersa in mare quando era mosso io ne avvertissi misteriosi messaggi che faccio molta fatica a ricordare ma il senso era: il Mare è vivo, un dio potente, purificatore che mi solleva e può portarmi lontano, sia laggiù che qui sotto in questo blu dove di certo scivolano serpenti e calamari neri sconosciuti ai più, qui sotto al moto frenetico delle mie gambe
La Gaminella invece era un ruscello pietrificato sotto uno strato di cemento..
l'hanno coperta e lì vicino non oso esplorare, uno strano odore di acido fenico mi fa allontanare.