martedì 27 gennaio 2009

l'ombelico Genova / Parigi

Allora non sapevamo che la piccola stazione si sarebbe lentamente estinta
in nome del progresso, della modernità e dell'autostrada.

Mi volgo alle spalle e mi lascio dietro quel casotto nascosto da altissimi rovi,
il ripido sentiero di polvere gialla, il frinire di una straordinaria comunità
di cicale e l'odore delle rotaie roventi.
Sempre quello, l'odore dell'inferno.

(Mi par di capire che l'incubo allora ricorrente fosse di stare in treno, in galleria presso le acciaierie di Cornigliano. Nel sogno il treno si fermava proprio là, in quello che doveva essere l'inferno. Lunghi treni merci, fischi nel buio e rotaie, brutte rotaie. Strutture metafisiche immense e paurose.
Il treno si fermava nell'acciaieria... in una lunga galleria dalla quale dovevo uscire a piedi, da sola, cercando con lo sguardo la lunetta di luce.
Ricorreva anche l'incubo della discesa a rotta di collo tra Liguria e Piemonte,
i freni stridevano, mordevano i binari e c'era quell'odore di ferro caldo, sulfureo e possibile portatore di morte mentre si spegneva la luce.)

Come non comprendere allora la visione paradisiaca della luce del sole dopo tante gallerie? dei campi a perdita d'occhio, dei filari di pioppi ordinati e gentili?
Quei lontani maggiordomi dalle foglie baluginanti parevano salutare la "Cinghei".
Quell'uomo un po' matto così mi chiamava perché era stato a Milano
( veramente era stato dappertutto ) e in quel dialetto qualcosa come cinque scudi, erano appunto il "cinghei" di papà.
In seguito smise di chiamarmi così prima di insegnarmi ad andare in bicicletta, a cinque anni, quando prese a chiamarmi "a figgeoa" secondo la più classica tradizione genovese: la figliola. Che si poteva declinare anche in "figetta" oppure nel melenso diminutivo "figina".
L'arrivo alla stazione di Masio (il puntino tra Genova e Parigi) in cui si alzava il vento solo al transito del "rapido" e all'ossessivo tintinnio della campanella, era un momento a lungo atteso, era talmente desiderato da apparire sogno.
La stazioncina col posteggio per le biciclette è forse l'ombelico della mia infanzia.
Autentico evento dunque partire dal mare profumato e luccicante, spazzato dalla tramontana delle spiagge genovesi, per giungere alle zolle erbose, alla felicità infinita delle corse nei campi assolati e a molte cose straordinarie che non avrei dovuto fare.

1 commento:

"Arturo" ha detto...

E' bella Genova, e' bella quando passeggi sul lungomare vero levante , ti butti a destra e ti trovi a Boccadasse. Dalla città alle 5terre in un'attimo. E' bella Genova.

Ed è bello l'odore della ferrovia.

E sono belli i Liguri (anchè perchè sono a nato ad Alassio anzi a Moglio).