venerdì 30 gennaio 2009

Pasquale, capostazione referenziato

alla piccola stazione di Masio l'uomo con la paletta parlava con papà mentre io rubavo le more.

- io ti conosco.. cosa ci fai qui? - aveva detto papà.
- accipicchia ma lei.. -
- tu lavoravi in porto.. vero? - gli aveva detto papà evidentemente soddisfatto.
- già... a Genova, come no! - e il ferroviere gli aveva stretto la mano.
- non capisco.. come sei arrivato fin qui? - papà aveva dato appena uno sguardo al berretto rosso.
- ho vinto un concorso, ho chiesto di restare a Napoli ma il posto era qui -
- e bravo Pasquale, dove hai trovato casa? -
- vede, la strada laggiù finisce, prima del paese ho trovato a buon prezzo... -


Aveva ragione papà.
Durante l'inverno la nonna aveva affittato un pezzo di cascina al nuovo capostazione referenziato Pasquale.
Nella confusione del resoconto collettivo annuale dei nuclei familiari papà aveva ottenuto qualche minuto di attenzione:

L'inquilino Pasquale, capostazione napoletano che lui aveva riconosciuto, erano effettivamente la stessa persona.
Un momento di ammirazione per questa strana caratteristica di essere fisionomista e un po' di stupore per la coincidenza durarono poco, fummo subito inghiottiti dalle ciarle dell'articolata, allora enorme famiglia.
Io, come lui, ero affascinata dagli incontri, dalle coincidenze.. avevo anch'io la netta percezione di importanti significati di cui nè lui nè io trovavamo il senso perciò rimanevamo con il nostro stupore e un complice sguardo interrogativo.

(Prima che arrivasse Pasquale da Napoli avevamo affittato al giardiniere veneto dei Poggio. Che gran da fare nel loro giardino: siepi da tosare, cipressi da potare, erbacce da estirpare e alcuni anni dopo, magnifiche sortite su quell' elettrizzante Ape ribaltabile. Emozioni di rara potenza per tre bambine che sapevano di talco ma che giocavano a piedi nudi. Dell'estasi di quei momenti dirò poi.)

Dunque l'arrivare finalmente alla cascina dopo la via della stazione mi ricorda il profumo del fieno, quello dell'erba tagliata di fresco, della legna bruciata e del letame dei vicini.

I primi abbracci avvenivano in cortile, erano brevi, pieni di uno strano pudore. Anche baciarsi era un rapido sfiorar di labbra pieno di pudore. Non si dovevano prolungare le smancerie però si stava a lungo a parlare spesso fino al crepuscolo, ora che amavo in modo particolare.
Il sole dava ancora luce ma le foglie tremavano alla brezza, le galline stavano brave, le cicale sparivano e finalmente dopo un interminabile anno scolastico potevo sentire il cantico dei grilli. Allora i pesticidi e i fumi delle fabbriche non avevano ancora sterminato i miei insetti preferiti: grilli, cicale e lucciole.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Anna, sei nata per scrivere. Continua, Ti prego! Grazie..
Masaghepensu